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Terapia o Medicina del dolore?
Nella pratica scientifica sono termini interscambiabili, l’uno vale l’altro. Nel senso comune, invece, tra tutte le persone (la cosiddetta gente, per capirci), soprattutto i non medici (anche se talvolta pure qualche medico cade nella confusione) terapia del dolore vuol dire terapia del dolore da cancro. Cancro, parola che, nonostante i successi della Medicina, spaventa, atterrisce. Tanto che mi capita di sentire, spesso direi, una persona dire all’altra:”Tizio fa la terapia del dolore…mamma mia deve essere grave!”.
Quando, invece, terapia del dolore dovrebbe solo a stare a significare l’approccio terapeutico volto al trattamento del dolore cronico, di qualsiasi dolore cronico, di cui il dolore da cancro costituisce il 10% del tutto. Dolore cronico, al di là delle dotte definizioni, significa lombalgia o sciatica cronica (che dura da sei mesi o più), cefalea, fibromialgia, nevralgia post-erpetica (sfogo di S. Antonio) ecc. ecc. Dolore cronico, ogni dolore, cioè, che dura da più di tre mesi o che, comunque, è troppo forte, troppo incidente sulla vita, dura da troppo tempo per essere gestito da soli.
Ed allora, più per prendere la distanza da questo malinteso che altro, anche se c’è molto altro (ma questo riguarda di più l’ambito scientifico), preferisco parlare di Medicina del dolore. Medicina del dolore che spesso è di seconda linea, prima, cioè, si vede il medico di base o lo specialista dell’area in cui si sente dolore (neurologo, ortopedico, reumatologo, ecc.), poi quando, come si è soliti dire, “si sta alla frutta” (la diagnosi è sbagliata, oppure la terapia proposta non fa nulla o la sintomatologia comunque si aggrava) si decide, o decide il medico di prima linea, che è il caso di rivolgersi allo specialista del dolore. Ad ognuno il suo campo, il mio, e quello di tanti altri colleghi, è quello del dolore, ogni dolore, in prima o seconda o terza linea (dipende da quanto è dura la battaglia!).